Non c'è nessun alimento al mondo simile al vino, considerato da un punto di vista strettamente medico: salutare se assunto in moderate quantità, dannoso se consumato con abuso.
Secondo alcuni letterati dell'antichità il suo etimo era ricollegabile alla parola latina "vis", ossia forza, perché una delle sue funzioni specifiche era quella di "accrescere il corpo e l’animo di forma e robustezza".
Platone consigliava di bere vino in quantità crescenti con l'età, per lenire qualsiasi tristezza propria della vecchiaia.
Ippocrate (IV sec. a.C.), uno dei più eminenti medici dell’antichità, lo prescriveva per curare le ferite, come bevanda nutriente, antifebbrile, purgante e diuretica.
Galeno (II sec. d.C.) faceva grande consumo di vini medicinali, e fu grazie alla diffusione delle sue opere in epoca bizantina, che l’uso del vino come medicinale riuscì a sopravvivere al crollo dell’Impero Romano d’Occidente. La raccomandazione galenica di ricorrere al vino per le ferite, per rinvigorire i fisici debilitati, e come febbrifugo venne ampiamente seguita nell’Europa del Medioevo soprattutto da monaci e Cavalieri Ospitalieri.
Ma fu il “Liber de Vinis” di Arnaldo da Villanova (XIII sec.) a stabilire con fermezza l’uso del vino come sistema terapeutico riconosciuto. Fra l’ampia lista dei suoi usi medicamentosi, il da Villanova ne sottolineava le qualità antisettiche, corroboranti e ne consigliava l’uso nella preparazione degli impiastri. Per tutto il periodo medioevale il vino fu uno dei pochi liquidi capaci, per effetto del suo contenuto alcolico, di sciogliere e nascondere il sapore delle sostanze ritenute curative dai medici dell’epoca. Le “teriache” una sorta di vini medicati, entrarono così in uso per le affezioni più diverse.
Secondo la scienza contemporanea gli effetti terapeutici più eclatanti del vino, se assunto in dosi moderate (2-3 bicchieri al giorno), sono quelli dovuti ad un vasto gruppo di sostanze, i polifenoli, presenti sopratutto nel vino rosso. Queste, dal potere antiossidante, contrastano l’invecchiamento cellulare e le patologie cardiovascolari o tumorali.
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Secondo alcuni letterati dell'antichità il suo etimo era ricollegabile alla parola latina "vis", ossia forza, perché una delle sue funzioni specifiche era quella di "accrescere il corpo e l’animo di forma e robustezza".
Platone consigliava di bere vino in quantità crescenti con l'età, per lenire qualsiasi tristezza propria della vecchiaia.
Ippocrate (IV sec. a.C.), uno dei più eminenti medici dell’antichità, lo prescriveva per curare le ferite, come bevanda nutriente, antifebbrile, purgante e diuretica.
Galeno (II sec. d.C.) faceva grande consumo di vini medicinali, e fu grazie alla diffusione delle sue opere in epoca bizantina, che l’uso del vino come medicinale riuscì a sopravvivere al crollo dell’Impero Romano d’Occidente. La raccomandazione galenica di ricorrere al vino per le ferite, per rinvigorire i fisici debilitati, e come febbrifugo venne ampiamente seguita nell’Europa del Medioevo soprattutto da monaci e Cavalieri Ospitalieri.
Ma fu il “Liber de Vinis” di Arnaldo da Villanova (XIII sec.) a stabilire con fermezza l’uso del vino come sistema terapeutico riconosciuto. Fra l’ampia lista dei suoi usi medicamentosi, il da Villanova ne sottolineava le qualità antisettiche, corroboranti e ne consigliava l’uso nella preparazione degli impiastri. Per tutto il periodo medioevale il vino fu uno dei pochi liquidi capaci, per effetto del suo contenuto alcolico, di sciogliere e nascondere il sapore delle sostanze ritenute curative dai medici dell’epoca. Le “teriache” una sorta di vini medicati, entrarono così in uso per le affezioni più diverse.
Secondo la scienza contemporanea gli effetti terapeutici più eclatanti del vino, se assunto in dosi moderate (2-3 bicchieri al giorno), sono quelli dovuti ad un vasto gruppo di sostanze, i polifenoli, presenti sopratutto nel vino rosso. Queste, dal potere antiossidante, contrastano l’invecchiamento cellulare e le patologie cardiovascolari o tumorali.
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Vinho como remédio
Tradução de Bruno Airaghi
www.taccuinistorici.it
Não tem nenhum alimento no mundo similar ao vinho,visto do ponto estritamente medico: saudável se considerado em quantidades moderadas, danoso se ultrapassar os limites.
Segundo alguns literatos da Antiguidade a sua terminação era ligada a palavra latina “vis”, ou seja força, porque uma das funções especificas era aquela de “acrescer ao corpo e ao animo uma forma e robustez”.
Platão aconselhava de beber vinho em porções crescentes com a idade, para afastar qualquer tristeza própria da velhice.
Hipocrates ( IV.sec.AC) um dos mais importantes médicos da Antiguidade, prescrevia pra curar as feridas, como bebida nutritiva, anti febril, purgante e diurética.
Galeno(II sec.DC) consumia bastante vinhos medicinais, graças a difusão das suas obras na época bizantina , que a utilização do vinho como remédio conseguiu sobreviver a queda do Império Romano do Ocidente.
A recomendação galênica de recorrer ao vinho para as feridas, para revigorar os físicos cansados e como febrífugo foi amplamente seguida na Europa Medieval, sobretudo por monges e Cavaleiros Hospitalários.
Contudo foi o “Liber de Vinis” de Arnaldo da Villanova (sec.XIII) a estabelecer com firmeza o uso do vinho como sistema terapêutico reconhecido.
Entre a vasta lista do seus usos medicamentosos, Villanova reforçava as qualidades antisépticas e aconselhava o uso do vinho na preparação de emplastros.
Durante todo o período medieval o vinho foi um dos poucos líquidos capaz, pelo efeito do seu conteúdo alcoólico de diluir e mascarar o sabor das substancias consideradas como cura pelos médicos da época. As “ teriache” uma mistura de vinhos terapêuticos entraram assim em uso pelos mais diversos caminhos.
De acordo com a ciência contemporânea , os efeitos terapêuticos mais conhecidos do vinho, se consumido com moderação (2,3 taças por dia) são aqueles originários de um vasto grupo de substancias , polifenóis , presentes em especial no tinto.
Estes com poderes anti oxidantes, reduzem o envelhecimento celular e as patologias cardio-vasculares ou tumores.
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